
Yoann Ignatiew
General Partner, Global Equities Portfolio Manager
Donald Trump
L'umiltà è un valore fondamentale per un gestore: riconoscere di non sapere nulla, specialmente quando si pensa di sapere. Ciò è ancor più vero in un mondo in cui le realtà economiche cambiano al ritmo di un tweet di Donald Trump. Gli economisti di Goldman Sachs lo ricorderanno: il 9 aprile, in mattinata, avevano previsto l'arrivo di una recessione negli Stati Uniti, per poi ritrattare 73 minuti (e un tweet) dopo. In un contesto così incerto, ci è sembrato opportuno fare il punto sugli eventi che hanno animato i mercati negli ultimi giorni e sulle loro implicazioni per il posizionamento di R-co Valor.
Alla fine dell'anno scorso, gli investitori hanno accolto con entusiasmo l'elezione di Donald Trump, spingendo gli indici azionari americani e globali verso nuovi record. Il rischio legato alle barriere doganali, elemento centrale del progetto Make America Great Again, veniva minimizzato; si trattava, secondo molti, di una mera tattica negoziale per piegare i partner commerciali, una lezione magistrale dell'autore di The Art of the Deal.
Ci è voluto fino a marzo, con i numerosi cambi di rotta della nuova amministrazione americana, perché gli investitori iniziassero a rendersi conto dei rischi all'orizzonte. Ancora prima degli annunci ufficiali, le incertezze legate ai potenziali dazi, al loro livello e alla loro portata, stavano paralizzando le decisioni di investimento delle imprese.
Il grande giorno è arrivato il 2 aprile, quando Donald Trump ha presentato i dettagli del suo piano, promettendo al popolo americano il Liberation Day. Il presidente ha annunciato dazi minimi del 10%, integrati da tariffe "reciproche" caso per caso. Così, le importazioni dall'Unione Europea sarebbero soggette a una tassa aggiuntiva del 20%, del 34% per quelle cinesi, del 26% per l'India, del 24% per il Giappone, del 31% per la Svizzera...
I mercati finanziari non si sono sentiti esattamente "liberati": l'indice S&P 500 ha perso oltre il 12% in sole quattro sedute2, un record raramente eguagliato, salvo durante l'epidemia di Covid-19 o la crisi finanziaria del 2008. Questa preoccupazione si è estesa ad altre classi di attivi considerate "sicure": la scorsa settimana, il rendimento dei Treasury USA a 10 anni è aumentato (nonostante l'accresciuto rischio di recessione), mentre il dollaro USA si è deprezzato rispetto a un paniere di valute internazionali, in contrasto con le teorie economiche convenzionali.
Va detto che l'implementazione delle barriere doganali previste dall'amministrazione Trump rappresenterebbe uno shock significativo per l'economia statunitense – che raggiungerebbe il livello di protezionismo più alto dagli anni '30 – e per l'economia globale, in un momento in cui molti paesi iniziano a mettere in dubbio l'affidabilità dell'alleato americano sul piano commerciale, finanziario e militare.
Poi tutto è accaduto rapidamente. Mercoledì 9 aprile, data prevista per l'entrata in vigore dei dazi, Donald Trump ha annunciato una "pausa" di 90 giorni sui dazi "reciproci", mantenendo però il tasso minimo del 10%. La Cina, unico paese ad aver risposto apertamente alle misure americane del 2 aprile, subirà invece una tassa doganale aggiuntiva del 125% (portando il dazio effettivo al 145%). I mercati finanziari hanno accolto con sollievo questa decisione, con un rialzo del S&P 500 del 9,5%, la sua migliore performance giornaliera dal 20082.
È difficile individuare la ragione esatta del cambio di retorica da parte della Casa Bianca. Senza remore, il presidente americano ha giustificato la sua decisione con gli sforzi di "oltre 75 paesi" per negoziare nuovi accordi commerciali. Gli investitori propendono piuttosto per un intervento opportuno del Segretario al Tesoro, Scott Bessent (ex gestore di fondi speculativi), preoccupato per il rapido aumento dei tassi sovrani. I più ottimisti credono addirittura nella concretizzazione del tanto atteso Trump Put, il livello di ribasso dei mercati azionari che spingerebbe Donald Trump a intervenire. Sottolineiamo anche il rapido deterioramento dei sondaggi di popolarità, che attribuiscono al presidente solo il 43% di opinioni favorevoli (in calo rispetto al 48% di fine marzo)3.
L'euforia è svanita rapidamente: l'S&P 500 ha registrato un calo dell'1,8% negli ultimi due giorni di questa settimana interminabile2. Gli investitori sono ora consapevoli delle incertezze macroeconomiche che, nel breve termine, pesano sulla capacità dei dirigenti aziendali di fare previsioni, e, di conseguenza, sull'economia globale.
È purtroppo troppo presto per delineare con precisione un nuovo scenario macroeconomico, che dipenderà, tra le altre cose, dalle negoziazioni commerciali tra l'amministrazione americana e i suoi principali partner, in particolare Cina e Unione Europea.
In uno scenario di base predefinito, le tariffe attualmente previste dalla Casa Bianca (145% sulla Cina e 10% sul resto del mondo, esclusi Messico e Canada) rappresenterebbero uno shock significativo per l'economia statunitense. Le barriere doganali vanno infatti considerate come una tassa che colpisce i consumatori o i margini delle imprese. Gli economisti dovranno quindi rivedere al ribasso le aspettative di crescita del PIL americano: il consenso prevede attualmente una crescita dell'1,8% nel 20254 (rispetto al 2,3% di fine febbraio).
I dazi avranno un impatto evidente sui partner commerciali degli Stati Uniti. L'Unione Europea sembra, per il momento, esclusa dal mirino di Washington e, l'introduzione di ambiziosi piani di rilancio economico (in particolare in Germania) potrebbe compensare parzialmente il rallentamento economico. Allo stesso modo, la situazione cinese non è così critica come si potrebbe pensare. Negli ultimi 20 anni, il governo cinese ha sostenuto la crescita della sua economia interna: nel 2024, le esportazioni rappresentavano meno del 20% del PIL cinese (rispetto a un picco del 36% nel 2006)5, di cui circa il 3% diretto verso gli Stati Uniti6. Inoltre, il governo sta finalizzando un piano di rilancio economico, riunendo la maggior parte dei suoi decisori politici ed economici in diverse sessioni straordinarie durante la settimana appena trascorsa.
R-co Valor ha affrontato questa crisi con un'esposizione azionaria storicamente bassa (70% al 31/03/20257). Il nostro team di gestione aveva evidenziato un premio al rischio azionario troppo contenuto negli Stati Uniti, combinato con aspettative ambiziose di crescita degli utili e una scarsa considerazione dell'incertezza legata alle politiche di rottura della nuova amministrazione. Di conseguenza, la nostra allocazione geografica e settoriale differenziata, lontana dal settore tecnologico americano (fin troppo), ha permesso al fondo di registrare una performance resiliente (+0,2%) nel primo trimestre8.
Durante questi giorni turbolenti, il team di gestione ha deciso di incrementare l'esposizione azionaria del fondo, che ora raggiunge il 78,7%, investendo circa 800 milioni di euro in azioni all'inizio di aprile9. Questo movimento va interpretato come una parziale neutralizzazione del nostro posizionamento prudente, mentre uno dei rischi che avevamo identificato si materializzava in modo spettacolare. A titolo di riferimento, l'allocazione azionaria media di R-co Valor è stata dell'83% dal 201410.
In primo luogo, abbiamo scelto di aumentare l'esposizione azionaria in modo disciplinato, attraverso tre programmi di acquisto uniformi (che non alterano la struttura del portafoglio) quando gli indici azionari raggiungevano livelli predeterminati.
Inoltre, abbiamo effettuato numerosi rafforzamenti tattici su titoli già presenti in portafoglio. Ancora prima del Liberation Day, il nostro team di analisti aveva studiato l'impatto potenziale dei dazi sulle società del portafoglio (esposizione commerciale agli Stati Uniti, adeguatezza delle catene di approvvigionamento, capacità di fissazione dei prezzi), consentendoci di prendere rapidamente le decisioni necessarie. Abbiamo rafforzato titoli per cui le preoccupazioni degli investitori riguardo ai dazi ci sembravano sproporzionate (ad esempio: LVMH, AstraZeneca, CATL, Thermo Fisher). Abbiamo anche privilegiato società ingiustamente colpite dal panico borsistico, ma fondamentalmente poco influenzate dalle barriere doganali (come MercadoLibre, Grab, Canadian Pacific, Ivanhoe Mines, Meta Platforms).
La situazione dovrebbe rimanere movimentata. Durante il fine settimana, la Casa Bianca ha annunciato che i beni elettronici, una parte significativa delle importazioni dalla Cina, sarebbero stati esentati dai dazi "reciproci". La stampa non ha potuto celebrare a lungo questo segnale positivo di una rapida e ordinata de-escalation del conflitto. Ventiquattro ore dopo, infatti, il Segretario al Commercio americano, Howard Lutnick, ha precisato che questa esenzione sarebbe stata solo temporanea, in attesa di finalizzare dazi specifici per il settore. Di conseguenza, i mercati dovrebbero rimanere volatili nei prossimi 90 giorni, poiché gli esiti potenziali di questa crisi potrebbero essere estremi: una recessione globale, un forte shock inflazionistico, la messa in discussione della supremazia del dollaro, un'impennata dei tassi sovrani americani... o, forse, semplicemente, un ritorno al punto di partenza. Il nostro team di gestione dovrà dimostrare tutto il suo sangue freddo e utilizzare la flessibilità della gamma Valor per mantenere la rotta in questo ambiente incerto ma stimolante.
Scritto il 14/04/2025