
Marc-Antoine Collard
Chief Economist – Director of macroeconomic research
Negli ultimi due anni gli Stati Uniti hanno registrato una crescita del PIL più rapida di tutti i Paesi del G71, e questo eccezionalismo ha in genere avuto un effetto positivo sulla crescita di altri Paesi, poiché la domanda statunitense ha stimolato i flussi commerciali globali e i prezzi delle attività.
Grazie alle promesse di una politica fiscale espansiva e agli stimoli di un vivace spirito imprenditoriale da parte delle imprese, l’economia statunitense dovrebbe rimanere solida nel breve termine. Inoltre, l'introduzione di dazi su tutte le importazioni potrebbe favorire l'attività economica con la domanda che si sposta dai beni esteri a quelli nazionali, migliorando così il deficit commerciale del Paese.
Tuttavia, gli effetti positivi iniziali potrebbero esaurirsi e possibilmente invertirsi, e l’impatto sul sentiment delle imprese al di fuori degli Stati Uniti, causato dalla minaccia di una guerra commerciale sempre più estesa, potrebbe essere il principale canale di trasmissione. Si prevede che la Cina sarà il paese più colpito dalla nuova amministrazione statunitense e di conseguenza i suoi partner commerciali nella regione potrebbero subire ricadute a causa dell'indebolimento della sua domanda. Sebbene la crescita europea sarà stimolata dall’iniziale dinamismo della domanda statunitense, si prevede che questi benefici saranno compensati da una crescita più debole in Asia e dal calo della fiducia delle imprese, soprattutto se verranno imposti dazi anche sulla regione.
Negli Stati Uniti, l'aumento iniziale della domanda in un'economia già in piena occupazione e con un output gap positivo spingerà un rialzo dei prezzi, mentre l'inflazione si attesta già al di sopra dell'obiettivo. Inoltre, le possibili ritorsioni cinesi ed europee danneggerebbero gli esportatori americani. Di conseguenza, dopo un iniziale miglioramento, il saldo commerciale statunitense sarà nuovamente sotto pressione.
Dopo un temporaneo iniziale impatto positivo, la riduzione delle importazioni e delle esportazioni potrebbe portare a un calo dell'attività economica. Questo, insieme a tassi d’interesse più elevati a causa dell'aumento dell'inflazione, lascerebbe all'amministrazione entrante con poco da mostrare come risultato dell’aumento dei dazi. Ovviamente, ciò presuppone che la risposta della politica monetaria della Fed sia coerente con i suoi obiettivi di occupazione e inflazione, ipotesi che sembra altamente probabile. In effetti, alla prima conferenza di politica monetaria della Fed dopo le elezioni statunitensi, il presidente Powell ha sottolineato che Trump non ha l'autorità legale di licenziarlo prima della fine del suo mandato nel maggio 2026, che intende portare a termine.
La Fed sta evitando di speculare su come le promesse di Trump su dazi più alti, espulsioni di massa e tasse più basse possano influenzare la politica monetaria. Sebbene sia in corso un’analisi degli effetti di tali misure, la Fed ne terrà conto nel suo processo decisionale solo quando diventeranno legge. Questo approccio, seppur prudente nell'attuale contesto di polarizzazione politica, non è privo di rischi.
Infatti, se la nuova amministrazione inaspettatamente decidesse di attuare alcune delle sue politiche - come quelle relative ai dazi o alle espulsioni - la risposta della Fed arriverebbe molto probabilmente troppo tardi per mitigarne completamente l'impatto economico. A tale proposito, i prezzi di importazione più alti, così come la carenza di manodopera causata da una politica di immigrazione molto più rigida, spingerebbero al rialzo l'inflazione le aspettative di inflazione che hanno già raggiunto livelli raramente registrati negli ultimi decenni, secondo i sondaggi alle famiglie. A sua volta, ciò aumenterebbe l'incertezza e renderebbe necessari aggiustamenti monetari più aggressivi, portando quindi a un aumento dei tassi di interesse, soprattutto se le prospettive fiscali dovessero peggiorare.
I livelli di debito pubblico sono elevati in tutto il mondo, e gli Stati Uniti non sono un’eccezione. Il loro debito pubblico è a livelli record e la traiettoria a lungo termine è insostenibile, anche se il punto di svolta preciso è ignoto. Il Congressional Budget Office (CBO) prevede che il debito federale lordo raggiungerà oltre il 122% del PIL entro il 20342, un livello mai raggiunto nella storia degli Stati Uniti. Si prevede che il deficit fiscale federale si amplierà attestandosi a -6,3% del PIL nel periodo 2025-20342, ben oltre la media del -3,8% registrata negli ultimi 50 anni2.
Si tratta tuttavia di stime ottimistiche, in quanto presuppongono che i tagli alle imposte sulle società e sulle persone fisiche previsti dal Tax Cut and Jobs Act (TCJA) del 2017 - che dovrebbero scadere alla fine del 2025 - non vengano prorogati, il che è improbabile dato che i Repubblicani controllano sia il Congresso sia la Casa Bianca. Infatti, se tutte le disposizioni fiscali dovessero essere prorogate, il deficit sarebbe più alto e il debito dovrebbe salire oltre il 136% del PIL entro il 20342. Inoltre, le proiezioni di base del CBO presuppongono che nei prossimi dieci anni non si verifichi alcuna recessione negli Stati Uniti, che l'inflazione torni a livelli normali e vi si mantenga e che, di conseguenza, i costi di finanziamento del debito rimangano bassi. Tassi d'interesse alti a lungo rappresentano ovviamente una sfida per la sostenibilità del debito.
Eppure, alcuni investitori sembrano fiduciosi che il deficit possa essere ridotto tagliando le spese, soprattutto da quando l'amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, è stato nominato co-responsabile del nuovo Dipartimento per l'Efficienza del Governo e ha suggerito che sarebbe possibile tagliare drasticamente le spese eliminando gli sprechi. Quanto è realistica questa proposta?
Circa il 43,5% dei 6.7 trilioni di dollari del bilancio federale è vincolante3, ovvero deve essere speso per legge per gli aventi diritto. Questo include la Social Security, che si traduce principalmente in pensioni per gli americani in età pensionabile, e Medicare, un programma di assicurazione sanitaria finanziato dal governo che serve principalmente gli americani di età superiore ai 65 anni. Trump non solo non ha mai parlato di profondi tagli a questi programmi molto popolari, ma aveva fatto campagna elettorale su una piattaforma promettendo di rendere la Social Security più generosa finanziariamente, non meno, eliminando l'imposta sul reddito da pagare su di essa. Allo stesso tempo, il 14% del bilancio è destinato al pagamento degli interessi sul debito pubblico2 , il che significa che questa linea di spesa non può essere ridotta senza mandare in default il governo statunitense.
Al contrario, la cosiddetta spesa governativa discrezionale è un esborso che non è vincolato in modo permanente dalla legge e deve essere votato annualmente dai legislatori. Rappresenta il 42,5% della spesa totale2, e mentre queste poste potrebbero essere più facilmente compresse, la parte discrezionale include anche la difesa (12%)2 che è piuttosto incomprimibile.
In sintesi, solo il 30% del bilancio federale potrebbe realisticamente subire i tagli significativi alla spesa4, e questo comprende fondi alle agenzie come trasporti, istruzione, agricoltura e la Sicurezza Nazionale, che svolgono importanti funzioni governative, soprattutto considerando che gli Stati Uniti spendono già una quota notevolmente inferiore rispetto alle altre economie avanzate in questi ambiti.
Nel complesso, un debito elevato riduce lo spazio fiscale e l’abilità dei governi di reagire in cicli economici avversi. Inoltre, ostacola gli investimenti che favoriscono la crescita e aumenta il rischio di crisi del debito sovrano. Se Trump implementasse tutte le misure proposte, ci si potrebbe chiedere quanti anni ci vorranno prima che gli investitori mettano in dubbio lo status di risk-free del Treasury, aumentando così notevolmente la volatilità del mercato obbligazionario statunitense.
La decisione di Trump di nomiare Scott Bessent come prossimo segretario al Tesoro è stata vista come una scelta Wall Street-friendly per salvaguardare la stabilità del mercato. Tuttavia, Bessent ha già segnalato il suo sostegno alla politica dei dazi come mezzo per raggiungere un duplice scopo: aumentare le entrate del governo per compensare i tagli alle tasse e affrontare gli squilibri economici globali. Egli ritiene che le guerre commerciali non siano negative né per la crescita né per l'inflazione - una visione a poco ortodossa tra gli economisti, per usare un eufemismo.
Scrittura completata il 4 Dicembre 2024.