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I mercati di fronte all'aumento dei daz

Strategia  —  04/04/2025

Didier Bouvignies

General Partner, CIO

Dopo essersi ripresi dalla Covid-19 e aver resistito alle conseguenze del conflitto Russia-Ucraina, i mercati azionari statunitensi ed europei, che hanno registrato performance rispettive del 97% e del 52%1, possono ora superare la nuova guerra commerciale di Donald Trump?

Gli aumenti dei dazi doganali sulle importazioni provenienti da oltre 180 paesi, annunciati da Donald Trump lo scorso 2 aprile, si sono rivelati ben superiori alle aspettative. Il suo piano tariffario, definito "reciproco", si articola in due fasi. In primo luogo, a partire dal prossimo 5 aprile, verrà applicato un dazio del 10% su tutte le importazioni, con l'eccezione, per il momento, di Canada e Messico. Successivamente, a partire dal 9 aprile, saranno introdotte tasse supplementari differenziate per paese, calcolate in base al deficit commerciale degli Stati Uniti rispetto al volume delle importazioni.

L’Asia subisce una penalizzazione significativa, con un’aliquota del 54% per la Cina, del 46% per il Vietnam, del 32% per Taiwan e del 24% per il Giappone2. Per quanto riguarda l’Europa, il livello si attesta al 20%2, in linea con le attese. A livello settoriale, si registrano alcune eccezioni: l’acciaio e l’alluminio, già precedentemente colpiti, sono per ora esclusi, così come i prodotti energetici, i farmaceutici, i semiconduttori, il legname e il rame. Tuttavia, questi potrebbero essere interessati da una seconda ondata di annunci. A titolo aneddotico, i distillati saranno tassati al 20%2, un livello ben inferiore al 200% ipotizzato in precedenza, offrendo un parziale sollievo ai viticoltori francesi.

Queste misure, combinate ai dazi del 25% annunciati la settimana scorsa, porteranno il tasso effettivo dei diritti doganali dal 2,5% – livello precedente all’ascesa al potere di Donald Trump3 – al 9% al 1° aprile 2025, per poi attestarsi intorno al 24% dopo questi annunci4. Si tratta di un livello che riporta indietro ai valori praticati alla fine degli anni ’20 o addirittura al XIX secolo, rimettendo parzialmente in discussione i benefici del commercio globale.

Sebbene previste, poiché parte del programma del candidato repubblicano, queste misure hanno sorpreso per la loro portata. Si giustificano con il dilemma che Donald Trump deve affrontare: il presidente americano si è impegnato a rinnovare le riduzioni fiscali introdotte durante il suo primo mandato e a proporne di nuove, mentre il deficit di bilancio statunitense previsto per il 2025 ammonta a 2 trilioni di dollari, pari al 7,4% del PIL5. Le stime delle entrate che queste tasse potrebbero generare oscillano tra circa 3006 e 700 miliardi7 di dollari annui, rispetto a una promessa elettorale di 400 miliardi7, a seconda degli effetti di sostituzione o della riduzione delle importazioni indotti dall’aumento dei prezzi.

Queste entrate saranno sufficienti a compensare le riduzioni fiscali, considerando che l’impatto di tali misure sulla crescita e sull’inflazione si rivela significativo? Questi livelli elevati rappresentano senza dubbio un tetto destinato a essere ridimensionato nel corso delle negoziazioni. Per quanto riguarda l’inflazione, l’aumento delle tasse avrà un effetto meccanico dovuto al rincaro dei beni importati. Diversi centri di ricerca stimano che l’incremento potrebbe oscillare tra 1 e 1,5 punti percentuali, portando l’indicatore monitorato dalla Fed, il core PCE8, oltre il 4%7.

D’altra parte, alcuni segnali di rallentamento della crescita erano già evidenti. È probabile che un’economia che dipende per il 70% dalla spesa al consumo9, in un paese dove i consumatori hanno già esaurito interamente il loro “risparmio Covid”, subisca un impatto negativo da qualsiasi aumento dei prezzi. La riduzione del potere d’acquisto potrebbe raggiungere il 2% del reddito7, soprattutto per le famiglie meno abbienti, che consumano una quota maggiore di beni. Il rischio per l’economia americana risiede anche nell’effetto ricchezza che, grazie all’aumento delle valorizzazioni azionarie e immobiliari, ha permesso ai nuclei familiari di consumare riducendo il tasso di risparmio. Un calo dei mercati produrrebbe probabilmente l’effetto opposto. Oltre agli effetti sul potere d’acquisto negli Stati Uniti e altrove, l’incertezza derivante da questo nuovo contesto potrebbe spingere le imprese a rinviare le decisioni di investimento e assunzione.

Per l’Europa, sebbene le esportazioni di beni rappresentino solo il 3,2% del PIL (3,7% per la Germania)10, i rischi sono più legati a una possibile escalation del conflitto e alla risposta dei paesi della zona. Probabilmente, come annunciato, questi ultimi cercheranno di colpire i servizi, settori in cui gli Stati Uniti registrano un surplus di 146 miliardi di euro nei confronti dell’Europa11. Germania e Italia dovrebbero essere più colpite rispetto a Francia o Regno Unito. Il pericolo per il Vecchio Continente sarebbe che questo impatto negativo sulla crescita si manifesti prima dei benefici derivanti dai piani infrastrutturali e di difesa approvati dai tedeschi e presentati dalla Commissione Europea. Questa situazione complica ulteriormente il compito delle banche centrali, rendendo le loro previsioni ancora più complesse e impedendo loro di sostenere la crescita finché l’inflazione rimane sopra l’obiettivo.

Le reazioni dei mercati dei tassi differiscono tra le due sponde dell’Atlantico. Si osserva una marcata discesa dei tassi americani, soprattutto nella componente reale, mentre in Europa i tassi a lungo termine reagiscono moderatamente al ribasso e la curva tedesca continua a irripidirsi, a seguito del piano di spesa di bilancio annunciato. È probabile che, di fronte ai timori di stagflazione, l’aggiustamento al ribasso dei tassi a lungo termine sia meno rapido rispetto ad altre fasi di preoccupazione per l’attività economica.

Per i mercati azionari, l’incertezza sulle previsioni di crescita è notevolmente aumentata. Negli Stati Uniti, si registrano ribassi sulle stime degli utili per il 2025, che dovrebbero accelerare con la valutazione della quota di aumenti tariffari assorbita dai margini delle imprese. Questi ultimi, tuttavia, rimangono piuttosto elevati, intorno al 10%12. Gli effetti del “Trump Rally” sui mercati americani sono stati completamente cancellati, ma i livelli di valorizzazione, uniti alle incertezze, giustificano una certa cautela.

Gli utili delle società europee dovrebbero subire un impatto minore. Tuttavia, la performance registrata dalla zona negli ultimi tre mesi le consente di essere in vantaggio di 8 punti percentuali sugli Stati Uniti su un orizzonte di 3 anni e quasi alla pari su 5 anni13, grazie all’eccezionale rendimento del settore bancario, che supera di gran lunga quello dei “Magnificent 7” nello stesso periodo. Nonostante la presa di coscienza politica e le iniziative per favorire più crescita e meno regolamentazione, dopo questo recupero, sembra difficile per l’Europa resistere alle incertezze generate dalla politica americana. Il rimbalzo potrebbe derivare da un sostegno delle banche centrali, che al momento è prematuro ipotizzare, o da un cambio di rotta di Donald Trump. Tuttavia, l’attuale presidente degli Stati Uniti è convinto che una “fase di transizione” con i suoi effetti negativi sia necessaria per attuare il suo programma, ben prima delle elezioni di midterm del 2026.

 

 

Completato l'3 aprile 2025

[1] Fonte: Bloomberg, dal 31/12/2019 al 02/04/2025. Performance calcolate in euro, dividendi reinvestiti.
[2] Fonte: Donald Trump, 2 aprile 2025.
[3] Fonte: UBS, aprile 2025.
[4] Fonti: consenso, aprile 2025.
[5] Fonte: U.S. Department of Treasury, Rothschild & Co Asset Management, 03/04/2025.
[6] Tax Policy Center, aprile 2025.
[7] Fonte: JP Morgan, aprile 2025.
[8] Inflazione calcolata al netto di alimentari ed energia.
[9] Fonte: Federal Reserve Bank of St. Louis.
[10] Fonte: Eurostat, aprile 2025.
[11] Fonte: Macrobond, aprile 2025.
[12] Fonte: Bloomberg, 02/04/2025.
[13] Fonti: Bloomberg, JP Morgan, 02/04/2025. Performance calcolate in euro, dividendi reinvestiti.